Una mamma sana nella mente e nel corpo

Oggi ricorre la Festa della Mamma, celebrata ovunque per il suo coraggio, la sua tenacia, il suo amore incondizionato. Celebrata dai figli di tutto il mondo, è occasione indiscussa di lucro per milioni di aziende che propongono in questi giorni regalie di ogni sorta. La figura materna è, storicamente, un lungo viaggio nel sentimento e nel coraggio, attraverso millenarie leggende, storie quotidiane di vita vissuta, progresso e scienza. Quando si pensa ad una madre non possiamo far altro che indugiare col pensiero a una figura densa di coraggio; ciò è indubbiamente vero ed è corretto ricordare la mole gargantuesca di energie che una mamma sa, per natura, convogliare per amor dei figli.
Ma nel 2023, nel bel mezzo di una delle più grandi crisi economiche e di coscienza che il Mondo abbia mai conosciuto, forse è necessario porre l’accento della questione sulla fragilità delle mamme.

Perché le mamme sono esseri umani; sono fallaci; sono soggette alle intemperie della vita come chiunque altro. E oltretutto assorbono i dolori dei figli, come principale fonte di erosione mentale e fisica. Essere mamma significa esserlo da giovani, da adulte e da anziane; significa esserlo di giorno e di notte; significa esserlo con figli vicini e lontani; significa rimanere mamma anche dopo aver elaborato il lutto di un figlio. Ed è noto quanto sia impossibile sopravvivere alla propria progenie.

Ogni passo che una madre compie, lo compie con il doppio, il triplo dello sforzo. E questo non giova alla sua salute mentale. Se consideriamo che è usanza comune dare per scontato il fatto che una mamma ce la possa fare, per tutta una serie di stereotipi, la verità invece non si cela affatto e rimane lampante sotto ai nostri occhi: una mamma ha una salute mentale messa a durissima prova quotidianamente.

La giornata di una madre difficilmente coincide con le esigenze di un figlio eppure l’essere umano donna si adatta, forzando il proprio ciclo circadiano e il proprio orologio biologico, alla ricerca di quel tanto di linfa che basti ad alimentare lo sviluppo e la crescita di un bambino.
Se ripercorriamo le tappe della maternità, possiamo scoprire quanta violenza e trauma esse incontrino.
La gestazione: il peso che aumenta; le notti insonni; la nausea; l’aspetto che si trasfigura; la mancanza o il troppo appetito; il mal di schiena e l’incubo che ad ogni esame qualcosa nel bimbo che portano in grembo possa andare storto.
Impossibile soltanto immaginare il dolore lancinante e distruttivo che possa scatenare la scoperta di una malattia genetica nel figlio prossimo venturo.
Il parto: il fenomeno della “violenza ostetrica”; la sofferenza fisica; la confusione ormonale; il momento dell’apice subito prima che il figlio venga alla luce.
Il neonato: altre notti insonni; ancora gli squilibri ormonali; l’allattamento e il rischio di mastite e altre dolorose complicazioni; il fisico travolto e sconvolto che deve tornare in ordine; l’empatia totale con ogni singolo pianto del proprio piccolo; l’ansia; la depressione; la sensazione di sbagliare tutto; la certezza di non saper affrontare il domani; e ancora l’ombra, lo spettro, di rare patologie non scoperte.
Il bimbo piccolo: distorcere e adattare i propri orari; veder crescere troppo velocemente il proprio figlio; educare, una missione impossibile; sensibilizzare e capire; comunicare; inevitabilmente iniziare a ferire e a venire feriti proprio da chi è parte di noi; far coincidere il lavoro, la vita privata, la sfera intima, il proprio tempo, con l’unica nuova ragione di vita.
L’adolescente: l’innocenza che se ne va; il dubbio atroce di aver sbagliato tutto; le compagnie sbagliate; sentirsi rinfacciare soltanto di averlo messo al mondo; i sensi di colpa; gli anni che passano sulle proprie gambe e le energie che cominciano ad esaurirsi; la resistenza estenuante ad ogni tragedia messa in atto dagli ormoni, stavolta quelli del figlio; le notti in bianco non sapendo dove sia; la rabbia ma soprattutto la gestione della rabbia.
Il figlio grande: la sindrome del nido vuoto; il tempo che passa; sentire che la propria necessaria utilità come madre sta volgendo al capolinea; l’indipendenza economica di un figlio e quale futuro assicurargli; il mondo del lavoro e la piaga di una crisi senza precedenti di cui una madre si sente ingiustamente responsabili; i conti da far quadrare; i primi acciacchi di vecchiaia; il dolore di dover essere la madre, stavolta, a dover chiedere aiuto al figlio; un figlio sempre più lontano; e guardarlo con orgoglio andare incontro alla vita, capendo finalmente che nonostante tutto, la mamma ha fatto proprio un capolavoro.

Tutto questo è praticamente una parte infinitesimale e soltanto abbozzata di quanto una madre subisca durante l’arco della sua vita. La maternità è la prova mentale e psichica più grande di tutte e non merita soltanto un immenso rispetto, ma necessita di cura e controllo, attenzione massima e presenza. Una madre deve poter chiedere aiuto e rivolgersi alle giuste figure professionali e ai giusti riferimenti umani. Una madre non deve mai rimanere da sola.

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