Determinanti sociali e salute mentale

“È importante che i Governi di tutto il mondo vedano la salute mentale come una componente fondamentale della salute pubblica”.
Margaret Chan, direttore dell’OMS dal 2007 al 2017.

“Abbiamo bisogno di assicurare che a queste persone non venga negata la possibilità di contribuire alla vita sociale ed economica e che i loro diritti vengano tutelati”. 
Benedetto Saraceno, Direttore del Dipartimento di salute mentale dell’OMS dal 1999 al 2010.

Peccato che queste dichiarazioni risalgano al 2008.
E che da quella data le cose non siano cambiate o meglio: sono estremamente cambiate, ma in senso negativo. Difatti, ad oggi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è riunita nuovamente per affrontare l’argomento sotto una nuova luce, quella relativa alle determinanti sociali, ambientali, economiche, lavorative, che in taluni casi – sempre più frequenti – possono divenire concausa ad alta sensibilità per lo sviluppo di patologie mentali.
Dopo l’esperienza della pandemia di Covid-19 il fatto si è ulteriormente acuito, portando la società ad una spaventosa involuzione sotto l’aspetto della salute psichica dell’uomo.
Diviene dunque di primaria importanza, per le alte sfere della sanità pubblica, prendere in considerazione i fattori esterni che possono minare alla stabilità mentale della popolazione globale e considerare quali siano le misure opportune da assumere nell’ottica di migliorare gradualmente la qualità della vita in ambito relazionale e umano.
La realtà dei fatti è avvilente e senza dubbio preoccupante: la mancanza di serenità è la prima questione che emerge se guardiamo alla società odierna: mancanza di diritti civili, alla casa, alla dignità personale; carenza di lavoro e di risorse; peggioramento dell’istruzione, deterioramento delle strutture pubbliche, malasanità. E potremmo continuare all’infinito nello snocciolare quali lacune – sarebbe meglio dire baratri – sussistano nel tessuto pubblico, dimodoché al cittadino manchino certezze e dunque venga meno quel senso di sicurezza che dovrebbe essere garantito in una società sviluppata e conforme alle basi illuministe a cui si ispira ogni costituzione democratica.

Basta partire proprio dal comparto sanitario per denotare le immense criticità che minano la salute mentale delle persone: in un qualsiasi ospedale la malattia psichiatrica è considerata come minore se non peggio, come fattore discriminante per la credibilità del paziente. Un paziente che diviene oggetto nelle mani del personale medico e infermieristico, e che deve fare i conti con la “lotteria” di chi gli capita a tiro: può trovarsi davanti un animo sensibile e umano, di grande professionalità, che arriverà a comprendere le sue necessità di natura psicologica e psichiatrica oppure potrà finire sotto la tutela di “professionisti” che non possiedono alcuna empatia e che non conoscono affatto il corretto modo di porsi nei confronti di tali questioni.
Questo perché? Perché manca una formazione specifica e latitano protocolli adatti alla tutela della salute mentale all’interno dei reparti di cura.
Ancora più a monte, manca una cruciale sensibilità nei quadri dirigenziali, che non solo ignorano ma addirittura nascondono, omettono, rifiutano che il punto primario di partenza di un qualsiasi ospedale è e deve essere il benessere psicologico dei pazienti.
Dunque non esiste preparazione come non esiste educazione al rapporto umano e se queste fondamenta mancano nella sanità – luogo dove le norme di igiene mentale dovrebbero essere redatte – è facile immaginare a che livello preistorico siano fermi tutti gli altri organi pubblici in termini di relazioni sociali.
Dalle scuole alle residenze per anziani, dalle amministrazioni ai centri per l’impiego, dalla viabilità pubblica ai tribunali, dagli uffici postali fino alla previdenza sociale, ognuno di questi luoghi favorisce – più o meno indirettamente – l’insorgere di problematiche e patologie mentali, siano esse già preesistenti o meno nel cittadino sottoposto a stress.

Ma non perdiamo di vista l’obiettivo primario di questo approfondimento, vale a dire il prendere in esame ciò che dovrebbe contribuire al benessere mentale e non l’opposto. Perché è questo il punto centrale: la salute mentale riguarda tutti , anche chi è attualmente sano, che se sottoposto a stress di origini esterne, può divenire esposto al rischio di patologie psichiatriche.
Nella società attuale, in cui viene acuito il senso di isolamento, sussistono dei paradigmi che divengono causa di malessere a qualsiasi livello culturale, di sviluppo e di progresso; anzi, potremmo dire che laddove il progresso è maggiore, maggiori sono gli indicatori di stress.
Il mondo occidentale è troppo veloce per una mente normale e questo causa un deficit di attenzione che porta l’individuo in uno stato di sofferenza e di distrazione perenne. La distrazione ha come conseguenza estrema l’alienazione. Tale alienazione diviene critica quando il metodo sociale in cui viviamo porta a livelli esasperanti l’agonismo e l’antagonismo, in una sorta di individualismo deformato e spogliato del suo significato originario.
Le dinamiche relazionali sono dettate da un egotismo (una percezione di sé proiettata verso l’interno e non verso il prossimo) che nel 2023 ha raggiunto livelli inauditi: le persone pensano, parlano, comunicano, senza l’intento di porsi in correlazione con i suoi simili.
Gli standard a cui i media ci sottopongono sono modelli irraggiungibili composti da una perfezione che – non essendo umana – genera soltanto frustrazione.
Se a tutti questi aspetti ontologici andiamo a sommare le devianze oggettive, quali le lacune esposte precedentemente e le difficoltà collettive più comuni quali la mancanza di stimoli, la solitudine, l’emarginazione, la crisi identitaria, ecc. , il risultato è drammatico.
Ecco che i fattori “esterni” di cui parlavamo in apertura divengono quei determinanti sociali a cui nessuna mente è capace di resistere.

Allora quali sono i fattori che dovrebbero contribuire alla sanità mentale, qualora volessimo stilare un principio di base in cui essa venga preservata come primario diritto inalienabile dell’uomo?
Non è semplice ma possiamo provarci.
Primo, il diritto alla diversità di apprendimento e di approccio. Una società sana di mente non pretende da tutti lo stesso ritmo e gli stessi metodi, piuttosto si impegna affinché ognuno riesca nei suoi intenti e nelle sue previsioni attraverso i suoi tempi, che sono mutevoli e soggettivi.
Secondo, è necessario vivere in un’armonia solidale laddove la collaborazione e la cooperazione siano anzitutto empatiche e spontanee e non frutto di accordi o corporativismi; ognuno dovrebbe avere il diritto di chiedere aiuto senza vergogna, senza timori, senza che venga per questo discriminato, perché ciascuno di noi ha un lato debole per il quale bisogna fare ricorso al prossimo, in ottemperanza al concetto antropologico fondamentale per cui siamo nati animali sociali.
Inoltre, è basilare che uno stato si adoperi nel mantenere viva l’iniziativa personale senza però abbandonare a se stesso coloro i quali possano avere uno svantaggio in tal senso. Se appunto nessuno di noi è uguale all’altro e tutti noi abbiamo punti di forza, è pur vero il contrario, vale a dire che ognuno di noi possiede fragilità. Tali fragilità – per non diventare critiche – devono essere contenute e sostenute, affinché i diritti fondamentali vengano rispettati.

Ora, ciò che abbiamo detto non sono altro che belle parole, principi piuttosto ovvi che non hanno alcuna funzione se non vengono applicati in maniera metodica e soprattutto endemica. Il mondo dovrebbe dunque cambiare? Certo che sì, ma soltanto nel dichiararlo comprendiamo che si tratta di un’utopia.

Una semplice, forse banale, soluzione potrebbe risiedere nel recuperare il valore della lentezza. Il tempo è una discrimine ad elevata sensibilità nel comparto della salute mentale, e ogni cronometraggio imposto aumenta il rischio di perdere di vista il bisogno atavico di serenità di cui l’uomo sta perdendo ogni traccia.

In copertina : Psiche apre la scatola d’oro – J.M. Waterhouse, 1903

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