1954//2024: 70 anni di TV in Italia

Il 2024 sarà un anno da guardare attraverso la prospettiva della comunicazione e delle cosiddette rivoluzioni digitali. No, non ci stiamo riferendo al machine learning o al destino dei social network, niente di così orientato verso il futuro, anzi: stiamo parlando di ricorrenze.

Quest’anno si celebrano i settant’anni della tv in Italia e i trent’anni dall’avvento nei negozi del Bel Paese della Sony PlayStation.
Con il senno di poi, entrambe le tecnologie hanno avuto un impatto transgenerazionale di enorme portata, ben aldilà delle attuali perplessità relative a ciò che il comparto digitale porterà con sé nel futuro prossimo venturo.

In data 3 Gennaio 1954, uno scatolone di legno al cui interno era incorniciato un vetro bistondo iniziò a proiettare su di esso immagini in movimento dotate di suono in presa diretta; tutto ciò emesso da un tubo – detto “catodico” – di cui ancora oggi sfido ingegneri e informatici a spiegarci il funzionamento, che raggranellava informazioni dall’etere tramite un’antenna all’uso di Benjamin Franklin con l’aquilone.
Visto con gli occhi del ventunesimo secolo, ci pare una barzelletta mal congegnata; all’epoca, un turbinio di emozioni travalicavano la capacità di razionalizzare dinnanzi a una delle più avveniristiche invenzioni che l’uomo abbia mai partorito.
Se ne parlava da tempo, di questi “televisori”, oggetti di culto di uso abbastanza frequente negli Stati Uniti e in poche altre parti del Mondo. Un bel giorno, alla cara vecchia radio, il focolare domestico dell’inizio del Novecento, venne preferita la televisione .

A questa enormità tecnologica, al tempo, si dette tale importanza da assoggettarla immediatamente a regime statale: la televisione nacque, fu, e permane in larga parte (che piaccia o meno), di proprietà governativa. Pubblica, insomma.

Per essere più precisi, tutto il comparto relativo alle radio tele comunicazioni, agli audiovisivi e al loro uso, furono subito regolamentati e messi a monopolio. Fu subito chiaro come fosse necessario fare altrettanto con tutto ciò che rappresentava la diffusione del segnale. Furono realizzati ponti radio, antenne immense e ripetitori funzionali alla capillarizzazione di un qualcosa che fu ben presto intuito, sarebbe stato di fondamentale importanza.
Ma importanza per chi? E soprattutto, a che prezzo?

Facciamo un doveroso distinguo: la televisione italiana ha avuto una sorta di “golden age” laddove ha proposto alla cittadinanza un palinsesto di alto livello culturale. Ha insegnato agli italiani a leggere, a scrivere, a far di conto; ha portato in casa della gente comune il teatro e la lirica; ha dato accesso gratuito a straordinari luoghi esotici e monumenti storici tramite i documentari; ha rivoluzionato il costume attraverso gli sceneggiati, le sfilate, i grandi eventi mondani in diretta; ha costruito una scena musicale valida e finalmente popolare, portando alla ribalta la musica leggera e quella d’autore. Insomma, si può dire che per una ventina d’anni il sistema televisivo sia stato davvero rivoluzionario e davvero utile allo scopo di migliorare la vita delle persone.
Poi, un bel giorno, fu compreso il vero potenziale del nuovo media: la propaganda.

Dagli USA fu mutuato – e abilmente trasformato in qualcosa di prettamente italico – il concetto per cui bombardare la cittadinanza attraverso messaggi più o meno sottintesi, fosse uno strumento di distrazione di massa dal potenziale suggestivo immenso. Dalle tribune politiche ai dibattiti – un metodo se vogliamo più diretto e parzialmente onesto – si passò al subliminale, ai sottotesti, alle intricate strategie che provenivano dal mondo della pubblicità.

E fu proprio questa, la pubblicità, a divenire il vero fenomeno massificato che gli operatori si aspettavano dalla televisione. Se il Carosello al giorno d’oggi viene considerato, a ragione, un geniale moto di creatività, è pur vero che diede il via a un concatenarsi di eventi di ben più becera natura. Il gusto per la raffinatezza lasciò il posto alla sistemica produzione in serie di spot e video sempre più brevi e di largo consumo, a braccetto con format ragionati appositamente per influenzare l’opinione pubblica.
Da quel momento anche l’iniziativa privata ebbe tutta l’intenzione di inserirsi nel mondo della televisione e con gli anni Ottanta del Novecento sorsero le prime, storiche, emittenti locali.

La rivoluzione berlusconiana di trasformare la diffusione locale di televendite in un grande network nazionale definito puramente “commerciale” fu l’ultimo grande atto della storia della tv.

Cosa ci rimane oggi? Una liquefatta e flebile intenzione di far divulgazione, una sciatteria scomposta che viene consumata e digerita soltanto da un pubblico oramai vetusto, una lobotomizzante quantità di prodotti di fiction dalla trama esemplificata per la costante riduzione della soglia di attenzione… in sostanza un progressivo abbandono del media in favore – pare evidente – di nuove tecnologie di fruizione passiva più adatte (o forse no) ai nostri tempi.

Tanti auguri alla Tv e – parzialmente – grazie di essere esistita.

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