• Contenuti // Sviluppo

    Contenuti // Sviluppo

    Studio; capacità di comunicazione; abilità nella scrittura = identità, sviluppo e nuove opportunità d’impresa.

    Una sintesi stringata per un’equazione che è stata confermata da e nel tempo. Ma è possibile sintetizzare ancora di più e ottenere un concetto chiaro? Certamente!

    La creazione e la scelta di contenuti professionali da usare per un’impresa (da micro a grande) mette in atto un cambiamento radicale nell’impresa stessa. Questo è il concetto esatto, più o meno. (Nota: chi scrive non sta usando l’AI ☺) .

    Per cui viene da chiedersi, qual è la figura professionale che si occupa di questo? 

    In realtà se vogliamo essere onesti è un lavoro che –  se inteso seriamente –  deve essere svolto in team, perché le competenze che occorrono sono davvero molte. Si può comunque senza ombra di dubbio affermare con termini calcistici che il centravanti di questo specifico lavoro è il content strategist, ovvero colui che sceglie tra tutta una serie di contenuti (sì, proprio come lo showrunner per le serie tv) – finalizzando tale selezione  per una specifica attività imprenditoriale –  qual è il più adatto e dove pubblicarlo.
    Già, perché un contenuto può essere adatto per una piattaforma social e per un’altra no (oppure va modificato), può andar bene per un articolo su un sito web ma non per altro etc…

    Molte volte il content strategist crea egli stesso i contenuti quindi ricopre anche la mansione di un content creator. Spesso dunque lo stratega e il creatore sono la stessa figura professionale. Egli dovrà in ogni caso consultarsi con altri specialisti in altre materie appartenenti allo stesso staff per realizzare un lavoro al massimo delle loro capacità sinergiche e per far ottenere al loro cliente il miglior risultato. La storia del calcio ci insegna che se un centravanti non riceve gli assist dalla sua squadra non segnerà mai un gol, o quasi… . Ecco perché senza il confronto non potrà mai esistere un lavoro svolto professionalmente. E vi assicuro che accade proprio così. 

    Il contenuto e la comunicazione sono fondamentali per far nascere e funzionare un rapporto che mira alla fidelizzazione tra brand e clienti. Internet è “l’autostrada” accessibile a tutti, che ha stravolto il metodo di fare impresa. Un piccolo esempio: un negozio di provincia, con buoni prodotti, può avere crescite che non avrebbe mai immaginato sotto vari aspetti, uno su tutti il suo fatturato.

    In sostanza a questa figura professionale è affidata la gestione di cosa pubblicare online, quando e su quale piattaforma. Tutto questo per curare al meglio il brand e un’immagine che segua una linea “editoriale” ben precisa in modo da apportare valore aggiunto all’azienda cliente e di conseguenza aiutarla anche a crescere. 

    E’ ormai consolidato che senza contenuti adatti, con uno standard d’immagine alto, puoi spendere quanto vuoi in campagne promozionali sui social o sui siti web ma non avrai nessun risultato; questo semplicemente perché l’efficacia è data dalla professionalità della gestione di tutto l’insieme. 

    Il sito web e i social aziendali rappresentano il biglietto da visita di ogni brand e il principale canale attraverso il quale si relazionano con i propri clienti nel mondo 4.0. . Ecco perché scegliere di collaborare e compiere un percorso facendosi guidare e coinvolgere da uno o più digital creators e/o content strategists di talento può fare indubbiamente la differenza. Prestare sempre attenzione ai “cuggini” o ai non professionisti della comunicazione poiché purtroppo buttereste i vostri soldi ricevendo effetti negativi nel caso peggiore o nessun risultato nel caso migliore.

  • Una mamma sana nella mente e nel corpo

    Una mamma sana nella mente e nel corpo

    Oggi ricorre la Festa della Mamma, celebrata ovunque per il suo coraggio, la sua tenacia, il suo amore incondizionato. Celebrata dai figli di tutto il mondo, è occasione indiscussa di lucro per milioni di aziende che propongono in questi giorni regalie di ogni sorta. La figura materna è, storicamente, un lungo viaggio nel sentimento e nel coraggio, attraverso millenarie leggende, storie quotidiane di vita vissuta, progresso e scienza. Quando si pensa ad una madre non possiamo far altro che indugiare col pensiero a una figura densa di coraggio; ciò è indubbiamente vero ed è corretto ricordare la mole gargantuesca di energie che una mamma sa, per natura, convogliare per amor dei figli.
    Ma nel 2023, nel bel mezzo di una delle più grandi crisi economiche e di coscienza che il Mondo abbia mai conosciuto, forse è necessario porre l’accento della questione sulla fragilità delle mamme.

    Perché le mamme sono esseri umani; sono fallaci; sono soggette alle intemperie della vita come chiunque altro. E oltretutto assorbono i dolori dei figli, come principale fonte di erosione mentale e fisica. Essere mamma significa esserlo da giovani, da adulte e da anziane; significa esserlo di giorno e di notte; significa esserlo con figli vicini e lontani; significa rimanere mamma anche dopo aver elaborato il lutto di un figlio. Ed è noto quanto sia impossibile sopravvivere alla propria progenie.

    Ogni passo che una madre compie, lo compie con il doppio, il triplo dello sforzo. E questo non giova alla sua salute mentale. Se consideriamo che è usanza comune dare per scontato il fatto che una mamma ce la possa fare, per tutta una serie di stereotipi, la verità invece non si cela affatto e rimane lampante sotto ai nostri occhi: una mamma ha una salute mentale messa a durissima prova quotidianamente.

    La giornata di una madre difficilmente coincide con le esigenze di un figlio eppure l’essere umano donna si adatta, forzando il proprio ciclo circadiano e il proprio orologio biologico, alla ricerca di quel tanto di linfa che basti ad alimentare lo sviluppo e la crescita di un bambino.
    Se ripercorriamo le tappe della maternità, possiamo scoprire quanta violenza e trauma esse incontrino.
    La gestazione: il peso che aumenta; le notti insonni; la nausea; l’aspetto che si trasfigura; la mancanza o il troppo appetito; il mal di schiena e l’incubo che ad ogni esame qualcosa nel bimbo che portano in grembo possa andare storto.
    Impossibile soltanto immaginare il dolore lancinante e distruttivo che possa scatenare la scoperta di una malattia genetica nel figlio prossimo venturo.
    Il parto: il fenomeno della “violenza ostetrica”; la sofferenza fisica; la confusione ormonale; il momento dell’apice subito prima che il figlio venga alla luce.
    Il neonato: altre notti insonni; ancora gli squilibri ormonali; l’allattamento e il rischio di mastite e altre dolorose complicazioni; il fisico travolto e sconvolto che deve tornare in ordine; l’empatia totale con ogni singolo pianto del proprio piccolo; l’ansia; la depressione; la sensazione di sbagliare tutto; la certezza di non saper affrontare il domani; e ancora l’ombra, lo spettro, di rare patologie non scoperte.
    Il bimbo piccolo: distorcere e adattare i propri orari; veder crescere troppo velocemente il proprio figlio; educare, una missione impossibile; sensibilizzare e capire; comunicare; inevitabilmente iniziare a ferire e a venire feriti proprio da chi è parte di noi; far coincidere il lavoro, la vita privata, la sfera intima, il proprio tempo, con l’unica nuova ragione di vita.
    L’adolescente: l’innocenza che se ne va; il dubbio atroce di aver sbagliato tutto; le compagnie sbagliate; sentirsi rinfacciare soltanto di averlo messo al mondo; i sensi di colpa; gli anni che passano sulle proprie gambe e le energie che cominciano ad esaurirsi; la resistenza estenuante ad ogni tragedia messa in atto dagli ormoni, stavolta quelli del figlio; le notti in bianco non sapendo dove sia; la rabbia ma soprattutto la gestione della rabbia.
    Il figlio grande: la sindrome del nido vuoto; il tempo che passa; sentire che la propria necessaria utilità come madre sta volgendo al capolinea; l’indipendenza economica di un figlio e quale futuro assicurargli; il mondo del lavoro e la piaga di una crisi senza precedenti di cui una madre si sente ingiustamente responsabili; i conti da far quadrare; i primi acciacchi di vecchiaia; il dolore di dover essere la madre, stavolta, a dover chiedere aiuto al figlio; un figlio sempre più lontano; e guardarlo con orgoglio andare incontro alla vita, capendo finalmente che nonostante tutto, la mamma ha fatto proprio un capolavoro.

    Tutto questo è praticamente una parte infinitesimale e soltanto abbozzata di quanto una madre subisca durante l’arco della sua vita. La maternità è la prova mentale e psichica più grande di tutte e non merita soltanto un immenso rispetto, ma necessita di cura e controllo, attenzione massima e presenza. Una madre deve poter chiedere aiuto e rivolgersi alle giuste figure professionali e ai giusti riferimenti umani. Una madre non deve mai rimanere da sola.

  • Donare è una scelta naturale – Lucca città del Sì

    Donare è una scelta naturale – Lucca città del Sì

    La campagna di comunicazione per la promozione della donazione di organi, tessuti e cellule “Donare è una scelta naturale” conferma la partnership siglata lo scorso anno con ANCI, l’Associazione che riunisce gli 8mila Comuni italiani.

    Naturalmente, anche il Comune di Lucca è tra i Comuni sostenitori dell’iniziativa e dichiarare il tuo SI presso gli uffici comunali sarà un grande obiettivo istituzionale. Per citare il Sindaco di Lucca Mario Pardini :

    “Il Comune di Lucca insieme ad Anci affiancherà il Ministero della
    Salute e il Centro Nazionale Trapianti in occasione della promozione
    della 26esima Giornata nazionale per la donazione di organi e tessuti –
    il 16 aprile – alla campagna “Dichiara il tuo Sì in Comune”. Nella quasi
    totalità dei Comuni italiani i cittadini maggiorenni possono infatti
    esprimere la dichiarazione di volontà sulla donazione di organi e
    tessuti al momento del rilascio o del rinnovo della carta d’identità,
    trasformando così un semplice atto individuale in un forte gesto
    collettivo di fiducia e responsabilità.
    Lo scorso anno i risultati ottenuti, anche attraverso la mobilitazione
    dei sindaci, sono stati notevoli e hanno registrato numeri importanti in
    termini di utenti raggiunti.
    Riteniamo il nostro impegno su questo fronte un’espressione di impegno
    civile e senso di comunità, vi chiedo quindi di diffondere l’iniziativa
    per dare forza ad una campagna di sensibilizzazione che attraverso
    l’attivismo può davvero fare la differenza in termini della salvaguardia
    delle vite di molti cittadini non solo a Lucca, ma in tutto il Paese.
    Perché  anche e soprattutto questo vuol dire essere una comunità: avere
    cura degli altri.
    Lucca ha una grande tradizione di solidarietà, altruismo e volontariato.
    Conserviamo e rilanciamo queste buone pratiche.
    Scegliamo di donare, aderiamo insieme alla campagna “Dichiara il tuo Sì
    in Comune”
    .
    Rendiamo insieme Lucca #CittàDelSì”.

    La collaborazione tra Anci, Ministero della salute e Cnt consente di porre al centro della campagna la promozione della principale modalità con cui i cittadini maggiorenni esprimono il proprio volere sulla donazione post-mortem: infatti, il 90% circa delle dichiarazioni registrate nel Sistema informativo trapianti- SIT sono state depositate in occasione del rilascio o rinnovo della carta d’identità al Comune (13 milioni e mezzo su un totale di 15 milioni di volontà presenti nel database del Cnt). Per questo è fondamentale che l’informazione e la sensibilizzazione sulla donazione di organi e tessuti veda protagonisti non solo le istituzioni sanitarie, ma anche gli enti locali, in un’alleanza sempre più forte tra salute e territorio.

    La campagna “Donare è una scelta naturale”, accompagnata dal pay-off “Dichiara il tuo Sì in Comune”, sarà al centro delle comunicazioni connesse alla XXVI Giornata nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti (16 aprile 2023): tra le iniziative in programma, si rinnova la campagna social con protagonisti i Sindaci per un appello corale alla donazione.

    Si ricorda che, ad oggi, sono oltre 8mila le persone che aspettano un trapianto nel nostro Paese: sono donne, uomini, giovani, adulti, anziani ma anche oltre 200 bambini, che soffrono di una grave insufficienza d’organo, ai reni, al fegato, al cuore, ai polmoni o al pancreas. La rete trapianti italiana è ai primi posti in Europa per numero e qualità degli interventi eseguiti. Eppure, ogni trapianto dipende da un “Sì”, da un gesto di solidarietà civile che ognuno di noi può fare.

    Diventare donatori è facilissimo: ogni cittadino ha la possibilità di registrare il proprio consenso all’anagrafe del proprio Comune, al momento del rilascio o del rinnovo della carta d’identità. Ma si può fare anche online, in pochi minuti: basta andare sul sito www.sceglididonare.it e registrarsi con la SPID attraverso l’AIDO (Associazione italiana donatori di organi), oppure, se non si possiede un’identità digitale, si può compilare e stampare il tesserino del donatore e conservarlo tra i propri documenti, magari comunicandolo ai propri familiari.

    OBIETTIVI
    Informare i cittadini sulle procedure esistenti per esprimersi sulla donazione di organi e tessuti post mortem, con particolare riferimento alla possibilità di dichiarare il proprio volere al Comune; informare la popolazione tra i 18 e i 35 anni sulle modalità di iscrizione al Registro Italiano Donatori di Midollo Osseo– IBMDR.
    Parallelamente, si intende rafforzare la fiducia nel sistema sanitario nazionale e consolidare la percezione del cittadino circa la professionalità degli operatori della Rete trapianti.

    TARGET
    La popolazione italiana in generale, con particolare riferimento a due fasce di età:

    – 18-35enni perché saranno i donatori di organi e tessuti del futuro e sono coloro i quali possono iscriversi al Registro IBMDR

    – Gli over 60 perché sono i cittadini che, ad oggi, hanno più reticenze nel registrare la propria volontà sulla donazione (se lo fanno nella maggior parte dei casi è un “no”).

    Per maggiori informazioni recati all’Anagrafe del Comune di Lucca, visita il sito istituzionale www.comune.lucca.it o vai su www.sceglididonare.it

  • Manifesto Etico di Progetto Nemesi

    Manifesto Etico di Progetto Nemesi

    Se ci definiamo “progetto” è essenzialmente per due ragioni: la prima, quella che avete imparato a conoscere, è la filosofia del proprio essere costantemente in evoluzione. La seconda rappresenta invece la nostra attitudine a voler lavorare così come viviamo: nel rispetto degli altri come valore intrinseco per dare forza e rispetto di sé. In pratica, cresciamo dando valore al prossimo.

    Perché ciò sia raggiungibile è necessario porsi non solo degli obiettivi ma anche dei confini, in una sorta di codice che determini al meglio la direzione che prendono le nostre scelte.
    Essere Progetto Nemesi rispetta dunque un’etica professionale.

    La nostra etica professionale abbraccia uno spettro di gestione del lavoro che ponga al centro la dignità e la serenità, premiando la qualità e valorizzando il tempo.
    Una tale deontologia deve tradursi anche nei nostri mezzi e nei nostri impianti: lavoriamo con le idee, certo; ma dobbiamo anche usare il computer.

    Ebbene, anche gli strumenti tecnologici posseggono un’etica. Siamo noi a dovergliela dare in modo tale che come lavoriamo sia coerente con ciò che siamo.

    Progetto Nemesi compie il proprio lavoro seguendo l’etica Open Source, mediante l’uso di software libero e accessibile a tutti.

    Perché il lavoro sia dignitoso e senza diseguaglianze, ogni strumento deve essere raggiungibile e alla portata di ciascun individuo. Affinché si possa eccellere con le proprie doti o si riesca a comunicare un messaggio con la propria creatività, è necessario partire tutti con gli stessi mezzi. Una comunità virtuale nasce e opera in questo senso, verso l’obiettivo iniziale e primigenio di internet e del concetto stesso di “rete” : condividere informazioni e renderle accessibili. Sempre. Senza imposizioni e restrizioni. Questo è il progresso che ci piace.

  • Fear of missing out

    Fear of missing out

    Sono legato a quell’istinto di assuefazione digitale proprio di chi “adolesceva” (cit. Caterina Guzzanti) negli anni Novanta. Non è una tendenza bensì proprio un qualcosa di innato che tende a sormontare le abitudini sane e le trasforma in pessimi comportamenti compulsivi soltanto alla vista di qualcosa di elettronico. Se il senso di stupore è in qualche modo svanito, rimane l’intenzione di sovra utilizzare ciò che è superfluo ed effimero. D’altronde siamo una generazione cresciuta di pari passo con l’ascesa del Wrestling, per cui è lapalissiano il fatto che si tenda a confondere ciò che è vero con ciò che è una seggiola di pan di zucchero.
    A causa di questa metamorfosi genetica tendo dunque a scrollare ossessivamente le storie e i reel sui social, tanto da imbattermi in nuove tendenze di cui, essendo quasi un -anta, sono del tutto alieno e provo, in ventisei secondi, ad adattarmi ed immergermi nell’attuale, giovane, universo comunicativo.
    Ne deriva un niente di fatto ma raramente mi restano in mente alcuni spunti. Uno di questi mi è stato gentilmente donato da un reel in cui Victoria dei Maneskin (che gli duri) viene intervistata a Radio Deejay e chiacchiera della sua F.O.M.O. .
    Un attimo: che diamine è la F.O.M.O. ? Qui tutto l’interesse accademico per le particolarità della psiche si concentra e drizza le antenne.
    Non è una nuova parafilia; non è un disturbo psichiatrico; non è una patologia; non è un bias (vedi articolo precedente); insomma cos’è?

    E’ quasi una delle cose scritte sopra, ma nessuna di esse. E’ un pattern comportamentale che evidenzia sì qualche difetto, che può certamente essere la manifestazione di un certo disagio, che potrebbe perfino consistere in una prematura comparsa sintomatica di un qualche cosa di serio.

    Significa Fear of Missing Out: paura di perdersi qualcosa. Di non esserci.

    In un attimo si è accesa la luce su un cono d’ombra che offuscava una devianza di cui ero alla ricerca da anni: il presenzialismo .

    Finalmente gli americani hanno coniato un termine figo e social-friendly per questa bruttura collettiva.
    Milioni di persone soffrono di presenzialismo. Nella società attuale – iperveloce e ipercompetitiva – perdersi qualcosa o qualcuno è una disfatta colossale.

    E non solo per personaggi in vista come la cara Victoria ma per ogni strato della civiltà. Non essere al bar, non essere alla laurea dell’amico, non essere a una festa, non essere nel gruppo whatsapp: ogni assenza può generare una voragine sotto ai nostri piedi e incrinare la nostra posizione.
    Siamo obbligati a sapere sempre tutto, a conoscere ogni meme e ogni tormentone, a reagire con qualcosa di stupefacente a qualcos’altro di stupefacente; il tutto a un ritmo inverosimile.
    Nessun essere umano può farsi algoritmo dalla sera alla mattina. Nessuno.
    Eppure il presenzialismo è diffuso più o meno da sempre, seppur con diversa andatura.
    Farsi trovare impreparati il lunedì sui risultati delle partite è sempre stato una sconvenienza sociale. Ma rimaniamo in tema di giovani: essersi persi una festa è storicamente un incubo.
    Saremo costretti ad affrontare gruppetti di ragazze e ragazzi che, in classe o in cortile, commentano fatti sconvolgenti accaduti la sera prima – accuratamente ingranditi per toglierci il fiato – e noi lì fermi a languire, lacerati dall’incertezza, morsi da dentro dal mostro della F.O.M.O. .

    Non esserci significa non esistere.

    Se l’assioma è questo, siamo in davvero messi male.

    Dovremmo invece fermarci un attimo e chiederci: mi interessa? E’ davvero cruciale l’evento a cui hanno assistito tutti gli altri mentre quello che facevo io in quel momento era meno rilevante? E perché? Perché non può essere la mia scelta, quella di primaria importanza? O il mio impedimento? Non esserci significa essere da un’altra parte, a fare qualcos’altro. Migliore o peggiore che sia, è la nostra esigenza e va soddisfatta con piena coscienza di sé.
    Se non viviamo il qui e ora con presenza di spirito e di mente, allora sì ci stiamo giocando tutto, e effettivamente non ci siamo. Abbiamo il dovere di concentrarci su quello che ci riguarda, per una sorta di rispetto del nostro io. Non mettiamo sotto lo zerbino tutte le molecole della nostra dignità sacrificandole sull’altare del presenzialismo.

  • Bias: quanta confusione!

    Bias: quanta confusione!

    Partiamo dall’etimologia, che fa subito una certa chiarezza: il termine bias deriva dall’antico provenzale, una delle lingue romanze sviluppate nel Medioevo, e significa – più o meno – inclinazione.
    Ebbene di inclinazione – ovverosia di tendenza – si tratta.
    Ad oggi, la parola in oggetto è utilizzata in diverse scienze, tra cui la statistica, la fisica e, quella che interessa a noi, la psicologia.
    In Statistica sottintende un’oscillazione di valori, siano essi riguardanti la finanza o un qualsivoglia calcolo logico si voglia operare; in fisica, nella branca applicata dell’elettronica, è in uso per determinare le inclinazioni e le forze della polarizzazione.
    Ma quello che a noi preme è il cosiddetto bias cognitivo: esatto, quello inerente alla sfera della psiche.
    O, per farla più ampia, del comportamento.
    La comunicazione e l’interpretazione vanno di pari passo con due fattori fondamentali: il dato oggettivo (la tanto cara e controversa “cosa in sé” di kantiana e filosofica memoria) e le consuetudini (una sorta di morale un po’ inselvatichita dalle brutture e deformazioni del comportamento sociale umano).
    Quando un’informazione viene recepita è naturale che il nostro cervello la elabori e trasformi in un’abitudine o una norma o una qualsiasi altra forma di comunicazione: ecco fatto il pensiero.
    Se questo pensiero è razionale e logico, deduttivo e pratico, si ottiene una ricezione corretta e un comportamento altrettanto omogeneo, non importa se esso devii dalle consuetudini o meno.
    Se tale procedimento mentale invece si modifica, si distorce o si plasma secondo una linea di pensiero deviante – e in questo caso sì che c’entrano le consuetudini, in modo che esse possano alienare il nostro raziocinio perché “così fan tutti” o perché “si è sempre fatto così” – allora si ottiene questo benedetto bias .

    Andiamo a descriverlo in modo scientifico, con termini corretti. Per dirla come fossimo un manuale di psicologia americano anni Sessanta, potremmo definire il nostro termine così: Il bias cognitivo o distorsione cognitiva è un pattern sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nei processi mentali di giudizio. Indica una tendenza a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppata sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio.
    In sostanza, un’inclinazione del tutto soggettiva ad un determinato stimolo.
    Un banale errore di giudizio.
    Di questi tempi è ancora più facile cadere in un bias : percepiamo le cose in modo anomalo, confuso e troppo veloce. Abbiamo dinnanzi a noi un mondo iper digitalizzato che ci offre una mole di informazioni immensa, sovraddosata e difforme, senza soluzione di continuità; tali dati risultano inoltre superficiali, incompleti e spesso manipolati. Diventa in questo modo molto difficile per la nostra mente elaborare con razionalità e discernimento le informazioni ottenute e il recepire si mescola dunque al percepire, in funzione di una sempre maggiore soggettività della comprensione, fino a compiere delle dinamiche di pensiero del tutto distaccate dal fatto reale accaduto o presentato.
    Questo per dire che non si tratta certo di un fenomeno sintomatico atto a definire una determinata patologia ma un sistemico abbandono dell’oggettività in favore di una norma sociale caotica e immersa in una grande discarica di informazioni globali.
    A livello più intimo, se andiamo alla ricerca dell’io e spogliamo la questione da dibattiti politici o sociologici, è comprensibile tuttavia inserire il bias in situazioni psicologiche più complesse.
    E dopo aver giustificato il genere umano – al netto dei malfunzionamenti dell’etica comune – è infine possibile stabilire che i bias cognitivi possano andare a braccetto con alcune patologie psichiatriche o disfunzioni psicologiche. I disturbi più comuni quali ansia, depressione (anche temporanea) e parafilie di vario genere contribuiscono in maniera significativa allo sviluppo di inclinazioni distorsioni . Uno stato d’ansia o di paura sono i più classici esempi di rischio nei quali si può incorrere in errori di giudizio o valutazione, anche con conseguenze piuttosto gravi.
    Allo stesso modo sono gli effetti delle più ostinate consuetudini che ci accompagnano da una vita a generare immense distorsioni dell’informazione ottenuta: la religione, la famiglia, la scuola, la buona norma , le idee politiche, ma anche questioni più banali come le sensazioni di gelosia, le opinioni di un amico carismatico, le vessazioni dei bulli; sono tantissime le implicazioni esterne che , tramite l’abitudine o l’influenza altrui, possono deviare la nostra percezione delle cose e della realtà. Possiamo convincerci di tutto e rimanere anche fermi su di una certa posizione errata per tutta la vita a causa o per concausa di stimoli esterni errati o dei quali non si posseggono i giusti strumenti.
    Eh già, gli strumenti: se c’è una consuetudine che più che altro è un vizio, comune a milioni di persone e a centinaia di culture diverse, quella è l’ignoranza.
    L’ignoranza genera bias semantici, comportamentali, cognitivi di ogni genere e sorta e va ad unirsi con una certa prepotenza ai vari disturbi della sfera psichica. Se tali problematiche non vengono affrontate adeguatamente, l’ignoranza prende il sopravvento e si cade in errori di valutazione che si andranno a radicare all’infinito all’interno della propria mente.
    Ecco dunque, in maniera sintetica all’inverosimile e per quanto ci sia possibile nel nostro piccolo, cosa significa la tanto usata – e abusata – parola bias .

    Un ironico esempio: se in rete, specialmente sui social, si trova così spesso la parola bias usata fuori contesto o con troppa scioltezza, si genera confusione; una confusione che parte da un errore di valutazione in chi scrive e che sfocia in un altro errore di interpretazione semantica in chi legge. Ecco fatto che a forza di dire bias senza consapevolezza alcuna, si genera un vero – avvilente – bias. Comico, no?

  • Iyoko e salute mentale

    Iyoko e salute mentale

    Dal momento in cui Progetto Nemesi ha deciso di sostenere attività di promozione socio-culturali, la prima criticità che è emersa e di cui è risultato necessario un intervento di divulgazione tempestivo ed efficace è senza dubbio la salute mentale.

    Dopo due anni di pandemia sommati alla crisi climatica ed energetica e dinnanzi alle incertezze dovute all’attuale situazione geopolitica ed economica, le persone hanno raggiunto derive avvilenti dense di disillusione e senso di precarietà. Ciò contribuisce naturalmente ad enfatizzare ogni sensibilità personale ed inasprisce sensibilmente chi, in molti casi inconsapevolmente, soffre di problematiche relative alla sfera psicologica e psichiatrica. L’umore, il comportamento, l’equilibrio, sono condizioni delicatissime che vacillano in ogni manifestazione di fragilità.

    Se a ciò viene sommata un’evanescente empatia nel prossimo, tipica della nostra società iper agonistica e iper competitiva, assieme ad un gravemente insufficiente comparto sociale della Cosa Pubblica, si ottiene una delle più pericolose crisi identitarie della storia recente.

    La solitudine non è più soltanto una degradante sensazione personale ma diventa un problema sociale e comune, implicando la latitanza delle istituzioni e l’incrinata correlazione umana.
    Manca il senso civico di vicinanza, di solidarietà reale, all’interno di un logorato comparto assistenziale che mina alle fondamenta anche le certezze economiche e quotidiane.
    In definitiva, le patologie mentali già preesistenti vengono ulteriormente penalizzate ed aggravate e una consistente mole di nuovi disturbi vengono generati e cogenerati dalle premesse sovraesposte, a cui si fa fronte con estrema difficoltà.
    Questa trama – all’incirca composta da nove milioni di persone in Italia – è parte integrante di un tessuto psicopatologico nazionale e al momento risulta insostenibile per le casse della sanità e malamente organizzato dagli enti sociali.

    La malattia mentale è dunque argomento primario per gli incontri proposti da Progetto Nemesi.
    Ci occuperemo di due focus: la salvaguardia della psiche nelle famiglie che gravitano intorno ad un soggetto disabile e la salute mentale sul lavoro in questo periodo di incertezze post-pandemiche.
    Due eventi in cui coinvolgeremo medici psichiatri, psicoterapeuti, neurologi e addetti ai lavori nelle associazioni e negli enti socio sanitari che si sobbarcano – tramite il volontariato – le lacune e le mancanze delle istituzioni centrali.

    Un’occasione unica per poter affrontare un argomento che ad oggi nel nostro Paese risulta ancora drammaticamente relegato alla condizione di stigma sociale. Un’occasione unica per dialogare attraverso il rispetto e la consapevolezza. Un’occasione unica per ascoltare persone che manifestano la propria criticità e i loro familiari, ponendo al centro della questione – sempre e comunque – la dignità e il diritto ad un futuro sereno.

  • Perché Progetto Nemesi ha creato Iyoko?

    Perché Progetto Nemesi ha creato Iyoko?

    Nella società odierna la parola “successo” viene sovente travisata. La tendenza è quella di pensare che il duro lavoro e una certa dose di sacrificio pongano come fine ultimo dell’uomo la conquista di un certo benessere economico al fine di elevare la propria condizione sociale in termini di ceto. Ma questa, è evidente, risulta una visione del tutto parziale e sommaria – arbitraria se vogliamo – dell’interpretazione di un termine. Il successo, per così dire in senso stretto, è invece il raggiungimento di un obiettivo: qualsiasi obiettivo. E non è semplicistico, tutt’altro. Si tratta di una sfida con se stessi e di una costante ricerca della felicità, dell’appagamento. Per non scadere nell’olismo ed evitare di risultare troppo filosofici, possiamo limitarci a sostenere che il successo è ben più completo se e quando sovrapponibile ad un bene comune che coincida con la propria soddisfazione personale.

    Progetto Nemesi ha come obiettivo la comunicazione. E il successo, per noi, avviene nel momento in cui questa comunicazione viene compresa e si trasforma in consapevolezza e dialogo.

    E non è soltanto il nostro lavoro, è senz’altro l’aspirazione di chi ha immaginato e realizzato questa avventura.

    Progetto Nemesi è sensibile dunque ad ogni aspetto della transitività del linguaggio e per questo motivo agisce anche come ente di promozione sociale al fine di divulgare – utilizzando gli opportuni strumenti e competenze – i fondamentali messaggi di inclusività e solidarietà propri di una società che non guardi solo al lavoro ma sostenga un’instancabile e progressiva ricerca atta al miglioramento della vita.

    Siamo dunque felici di presentare la nostra attività parallela che consiste nell’organizzazione e promozione di eventi socio-culturali che coinvolgano appieno la cittadinanza attraverso la sensibilizzazione verso le diversità, le disabilità e le critiche implicazioni derivanti da stati patologici di ogni estrazione, in ogni famiglia. 

    In sostanza, Progetto Nemesi proporrà iniziative sulla salute – fisica e mentale – delle persone, mettendo al centro le persone, elaborando le necessità delle persone.

    Coinvolgeremo medici e scienziati, operatori sociali e della collettività, rappresentanti delle associazioni di promozione socio-sanitaria che vorranno partecipare, alla ricerca della massima chiarezza e della massima professionalità nell’affrontare anche i cammini più impervi.

    Ci sediamo attorno a tavoli aperti, offrendo tutti gli strumenti necessari all’attuazione di incontri partecipati, propositivi e concreti; ascolteremo conferenze e ogni giorno porteremo avanti il nostro lavoro attraverso l’etica e il rispetto di ogni sfumatura umana.

    Le nostre iniziative passeranno anche per i media più efficaci di comunicazione, uno su tutti l’arte. La creatività rappresenta un punto fermo nel nostro viaggio e saremo ben felici di sostenere presentazioni di libri, mostre di pittura e scultura, incontri eno-gastronomici e ogni altro contributo che la cultura e il nostro retaggio possano donare alla trasversalità di un messaggio universale della primaria importanza come la salute e il benessere. 

  • Benvenuto in Iyoko

    Benvenuto in Iyoko

    Iyoko, nella lingua del popolo nativo americano Lakota, significa “spazio”. Progetto Nemesi genera infatti spazio per la creatività e le idee.
    Questo è il luogo dei nostri pensieri condivisi in libertà.
    Approfondimenti culturali che si rivelano fondamento di un’etica che porti la consapevolezza ad un’evoluzione continua e costruttiva.

     
    Benvenuto in Iyoko!

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