Breve storia del manifesto

L’origine della parola “manifesto” è da ricercarsi nelle più remote pieghe della storia, in quanto il termine ci dona la spiegazione stessa della funzione di tale oggetto: manifestare, portare a conoscenza, rendere noto.
Tralasciando i secoli in cui tale esposizione di una qualsiasi attività veniva operata in modo rudimentale, attraverso i graffiti o per voce dei proclami di un banditore, arriviamo al XV Secolo quando l’invenzione della stampa a opera di Gutenberg offrì la possibilità di realizzare più copie identiche di uno stesso testo in modo da poterle diffondere ovunque con grande semplicità. Se la produzione di libri emancipò la cultura rendendola accessibile a quella che fino ad allora era considerata una vastità irraggiungibile, la stessa possibilità in termini pubblicistici rese un enorme contributo alla nascita di un’embrionale industria pubblicitaria.
Manifesti recanti leggi e regolamenti, affissioni che citavano le ultime notizie, reclami di fiere e mercati imminenti, locandine di spettacoli teatrali o circensi iniziarono a venire disseminati in giro per le città e le campagne del mondo.

Il manifesto ottiene la sua attuale dimensione nell’Ottocento in Francia, quando diviene definitivamente utilizzato come strumento di comunicazione commerciale e politica. In questo periodo si scopre anche la potenzialità artistica dell’immagine pubblicitaria, tale da donare una nuova dignità al manifesto stesso: nasce la “golden age” della rappresentazione grafica e dell’illustrazione.
Celebri rimangono i lavori compiuti dai due più rappresentativi autori di opere da affissione: Henri de Tolouse-Lautrec e Jules Cheret. Pittori dallo straordinario talento comunicativo, i due artisti si differenziano dalla comunità intellettuale parigina arrivando per primi a spremere il loro mestiere in funzione di un mero atto pecuniario: il lavoro su commissione per eventi mondani, fiere, mostre e quant’altro la grande capitale in fermento proponeva al pubblico. 
L’inizio del Novecento coincide con l’imposizione culturale dell’arte Liberty, conosciuta in Francia come Art Nouveau e “Modernismo” in Italia. In tale contesto lo sviluppo del manifesto è proporzionale all’enorme ondata di correnti creative che si sviluppano nelle principale scene europee, asiatiche e americane. Si diffonde una certa mania per il Giappone che andrà a influire su innumerevoli produzioni illustrative, scultoree e architettoniche. Il manifesto, conoscendo un incremento tecnico di notevole portata, diviene simbolo di modernità e velocità di comunicazione, media perfetto per le avanguardie che prosperano in seno al Liberty: è il caso di segnalare principalmente il Futurismo in Italia e il Dadaismo in Francia. Gli artisti che rappresentavano l’interezza del pensiero di tali correnti trovarono nell’ “affiche” un alleato e un supporto straordinario; sono infatti notorie le incursioni di pittori, poeti, scultori e architetti nel mondo della pubblicità laddove porre attenzione all’impatto ultradinamico della comunicazione contemporanea.
I nomi più rappresentativi tra cui andare a ricercare queste magnifiche opere d’avanguardia sono certamente Marcel Duchamp, Alphonse Mucha e il leggendario Raymond Savignac, ideatore per quarant’anni di campagne pubblicitarie entrate di diritto nel mito del Ventesimo Secolo . Per quanto concerne l’Italia, gli autori futuristi di maggior successo sono stati certamente Leonetto Cappiello – creativo e pubblicitario – e Fortunato Depero – pittore prestato alla cartellonistica di cui ricordiamo certamente le strepitose pubblicità per Campari e Martini. 

Prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la pubblicità cartacea ebbe un altro vivace momento di progresso che coincise con l’avvento dell’Art Déco. Nato in Francia ma affermato negli USA, è proprio dall’America che giungono i lavori più importanti del periodo, in cui per altro iniziano a fiorire – a New York per le aziende e a Los Angeles per i film – le prime grandi agenzie pubblicitarie che firmeranno manifesti di assoluto valore storico, artistico e comunicativo. Tornando in Europa, l’Art Déco conosce due divagazioni sul tema che doneranno alla grafica pubblicitaria un grande contributo: stiamo parlando di due accademie, una tedesca e una austriaca, chiamate Bauhaus e Jugendstil. Lo Jugendstil (stile giovanile, fresco) viennese propose innovazioni tecnologiche impressionanti realizzando le prime forme astratte e geometriche di comunicazione pubblicitaria. La scuola Bauhaus, pur condividendo con gli austriaci il medesimo rigore, introdusse l’inserimento di concetti e messaggi sociali e razionali, alla ricerca di sottotesti culturalmente più elevati.
Sebbene la totalità dell’economia mondiale e del progresso artistico subirono un arresto di immane portata, il manifesto seppe rinnovarsi e rimanere in piedi anche durante la Seconda Guerra Mondiale. Le nazioni coinvolte nel conflitto abbisognavano con urgenza di una comunicazione efficace che facesse leva sulla speranza e le motivazioni di popoli atterriti e in grave pericolo; andare alla ricerca di motivazioni, di granitiche convinzioni: è l’alba del manifesto di propaganda politica.
Una tipologia di comunicazione che da quel momento in poi avrebbe per sempre accompagnato in parallelo tutte le varie evoluzioni del manifesto, senza mai conoscere crisi. Campagne pubblicitarie pubbliche al fine di giustificare invasioni, di veicolare i concetti della Guerra Fredda, di accompagnare i cittadini in scelte referendarie, di sponsorizzare campagne elettorali, saranno solo alcuni aspetti della diffusione del manifesto politico per tutto il XX Secolo.
Facciamo ritorno al 1945 e ai poster prettamente pubblicitari. Se gli anni Cinquanta stabiliranno i presupposti per un nuovo metodo comunicativo e la tecnologia di stampa conoscerà la diffusione massificata dell’offset (la tipografia industriale con cliché a ciclo stampa continuo con rotoliti), saranno gli anni Sessanta a divenire la seconda grande Golden Age del affiche. 

Creato a partire dagli anni venti, il concetto di “slogan” conobbe l’apice del successo proprio nei favolosi Sixties, decennio in cui la porzione di testo divenne elemento indissolubile e imprescindibile di ogni campagna pubblicitaria. In Italia fu pioniere il motto “E’ sempre l’ora dei Pavesini”  dell’artista “fluxus” Erberto Carboni cui fecero seguito slogan di ogni sorta accompagnati da personaggi, illustrazioni, disegni, qualsiasi cosa potesse inserirsi nel contesto visivo del manifesto stesso. L’Italia fu all’avanguardia in questo periodo raccontando per immagini il “boom” economico con grande poesia e simbolismo: stiamo parlando della creatività di Armando Testa e del suo studio – lo “Studio Testa” – con le sue campagne iconiche che hanno attraversato non solo i manifesti ma qualsiasi media disponibile al tempo.  
Negli USA si affermano, tra gli anni Sessanta e Settanta, i più grandi pubblicitari di ogni tempo, anche in questo caso mescolando l’arte pittorica e la fotografia alla comunicazione. Di nuovo, artisti di caratura internazionale si prestano con grande passione al mondo del poster, esaltando alcune caratteristiche peculiari delle correnti artistiche di riferimento: è il caso della Pop Art di Andy Warhol e Man Ray, così come dell’iperrealismo fotografico di Helmut Newton e via discorrendo.
Straordinario interprete del periodo d’oro del “advertisement” e nome unico in tutta la scena mondiale è Milton Glaser, l’illustratore newyorchese che creò l’eterno I Love New York sostituendo la parola “love” con un cuore e che mise la firma su alcune tra le campagne pubblicitarie più rilevanti del Secolo.
Con l’avvento degli anni Ottanta si registra un drastico cambiamento nel mondo della cartellonistica a causa dello sviluppo della grafica e della stampa digitale. Al pari di ciò, il manifesto viene lentamente soppiantato dalle pubblicità televisive che negli Eighties conoscono il loro momento d’oro, ma nonostante le avversità dettate dal progresso, il manifesto manterrà fino alla fine del Secolo – e anche dopo – la sua dignità e soprattutto la sua insostituibile funzione.
Loghi modernissimi, realizzazioni in 3D, fotografie punk, slogan bizzarri, nudità e violenza, umorismo macabro e grande rottura della “quarta parete”: la comunicazione degli anni Ottanta e Novanta cambia drasticamente la sua connotazione “buona” e armoniosa per concentrarsi sullo stato di shock da instillare nel pubblico.
Osare e innovare in un momento in cui il Capitalismo raggiunge le massime vette e l’arte di vendere e di vendersi diventa l’unico metodo per sopravvivere nella giungla urbana. In questo contesto mantiene salda la posizione un artista come Glaser che man mano lascerà spazio alle agenzie più in voga d’America e a artisti di rottura come Keith Haring o Folon. 

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